Notizie Radicali
  il giornale telematico di Radicali Italiani
  domenica 28 agosto 2005
 Direttore: Gualtiero Vecellio
Umbria, cuore verde d’Italia o espressione della peste italiana?

di Francesco Pullia

La recente operazione condotta dai carabinieri del Noe di Perugia e da quelli per la tutela dell’ambiente,  coordinati dalla procura di Terni, che ha consentito la scoperta in Umbria di un’organizzazione dedita al traffico illecito di rifiuti speciali costituiti da batterie al piombo esauste costituisce solo l’ultimo episodio, in ordine cronologico, di una situazione regionale a dir poco allarmante. Tutt’altro che cuore verde d’Italia, l’Umbria rappresenta uno dei nodi strategici delle rotte criminali con introiti rilevanti provenienti nelle casse della malavita da traffici illeciti di rifiuti, da appalti truccati, dal proibizionismo.

 

Non ci credete? Ecco i dati resi noti dal rapporto della Legambiente sull’ecomafia: 33 infrazioni accertate nel settore del ciclo dei rifiuti, 136 persone denunciate, 67 provvedimenti di sequestro effettuati fanno sì che la regione si collochi al quattordicesimo gradino della classifica nazionale dell’illegalitĂ  nel ciclo dei rifiuti. Parallelamente crescono gli indici d’inquinamento atmosferico insieme alle affezioni all’apparato respiratorio, al sistema cardiovascolare, ai tumori. Il nostro non è affatto allarmismo. Si tratta, purtroppo, della fotografia dell’esistente. D’altronde, la stessa relazione annuale della Direzione nazionale antimafia, riportata dalla stampa locale, parla chiaro: l’Umbria  è terra di conquista per la criminalitĂ  nazionale e per quella straniera.

 

Si va dalle gare d’appalto vinte grazie ad offerte insostenibili per le aziende umbre ( con la pratica del “massimo ribasso” imprese collegate alla malavita sono riuscite a farsi assegnare decine di maxi-appalti per le grandi opere) al riciclaggio di denaro sporco tramite la raccolta dei rifiuti e la gestione di esercizi commerciali (inclusi locali notturni e circoli privati) all’immigrazione clandestina di giovani donne dall’Europa dell’Est, dalla prostituzione alla droga.

 

La relazione annuale 2008 della Polizia di Stato lo dice: Perugia è una città che le organizzazioni criminali hanno scelto come base di tutto rispetto nel panorama del traffico nazionale e internazionale di droga e l'Umbria è al primo posto per numero di decessi per abuso di droga nel dato rapportato a 100.000 abitanti (3,24 morti; seguono molto distanziati il Lazio con 1,66, l'Abruzzo con 1,57, la Campania con 1,23). Anche in termini assoluti la realtà regionale si trova nella fascia delle regioni maggiormente afflitte dal dramma dell'overdose e Perugia è al terzo posto in Italia con 24 decessi, seconda solo a due metropoli come Roma e Napoli e seconda a Prato e Bologna per quanto riguarda il coinvolgimento di gruppi stranieri coinvolti nel narcotraffico (dato relativo alle denunce di cittadini stranieri ogni 10.000 abitanti).

A proposito di droga e proibizionismo, non possiamo dimenticare il caso, ancora in attesa di giustizia, di Aldo Branzino, l’ebanista 43enne di Pietralunga, arrestato per detenzione di piantine coltivate per uso personale. Entrato in perfetto stato di salute nel carcere perugino di Capanne il 12 ottobre 2007 è stato rinvenuto senza vita nella cella n. 20, sezione 2B quarantotto ore dopo. La perizia autoptica aveva riscontrato lacerazione traumatica del fegato per una lesione emorragica, ritenuta anch’essa di tipo traumatico. Il pm aveva aperto un procedimento per omicidio volontario ad opera di ignoti e un fascicolo per omissione di soccorso e di atti d’ufficio. Inutile accennare ai tentativi di insabbiamento, alle richieste di archiviazione per la “non sussistenza” del fatto. Secondo la perizia medico-legale, la morte sarebbe stata provocata dalla rottura di un aneurisma cerebrale: la lesione epatica è stata definita «estranea all’evento letale» e il decesso attribuito a cause naturali, escludendo in tal modo l’esistenza di aggressioni nei confronti della vittima.

 

E allora: Umbria cuore verde d’Italia o non piuttosto caso emblematico della peste italiana?

Se, poi, è vero che il Pil in Umbria, sebbene trainato soprattutto dal settore dei servizi,  è aumentato rispetto  al tasso nazionale medio, dall’altra parte bisogna pur sottolineare che il profilo delle imprese umbre tracciato dal VI Rapporto del Met (Monitoraggio economia territorio) presentato in questi giorni all’UniversitĂ  di Perugia denuncia un insufficiente investimento nella ricerca e nell’innovazione, il 6,7% del totale erogato. Una percentuale inferiore al 13,7% delle Marche, al 28,5% della Toscana, al 41% dell’Emilia Romagna.

 

Per l’obiettivo dell’internazionalizzazione il dato umbro si ferma al 2,7% mentre in altre realtĂ  si investe quasi un quinto delle proprie disponibilitĂ  (19,9 % Lombardia, 18,3% Emilia Romagna, 16,3% Veneto).

 

Circa il 12,2% delle imprese umbre ha maturato un giudizio negativo sugli aiuti pubblici soprattutto a causa delle percezione di elevati costi amministrativi (50% in Umbria rispetto al complessivo 31% d’Italia) e della presenza di vincoli di concentrazione temporale degli investimenti (38% nella regione mentre 27% medio nazionale).

Non suggeriscono niente questi elementi?